Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca

Paul Cézanne, ritratto di Gustave Geffroy, 1895
Paul Cézanne, ritratto di Gustave Geffroy, 1895

Dopo quasi due anni torno a redigere, e per chiarezza firmo, l’editoriale di «Oblio». Non lo avrei fatto, o almeno non lo avrei sottolineato, se la novità che sto per annunciare potesse essere affidata a una informazione di servizio. Alla rivista sono già state apportate modifiche tanto significative quanto opportune, nello spirito del progetto originale finalizzate al miglioramento del servizio, dell’accessibilità e della rispondenza ai requisiti della valutazione scientifica, e accolte per lo più molto favorevolmente. Adesso il cambiamento riguarda addirittura la nostra periodicità, che, a partire dal prossimo n. 45, il primo della dodicesima annata, diventerà semestrale.

Del resto fin dal primo anno l’esigenza di mantenere la periodicità trimestrale mi ha costretto a istituire un numero doppio, più compatibile con la coincidenza nella stessa persona di direzione e redazione (cioè reclutamento e corrispondenza con referenti e autori, revisione di contributi, immissione nel sito di una parte dei dati, nonché rinuncia a ogni contatto diretto con gli editori). E non ho difficoltà ad ammettere che, benché mi sia sforzato con questa formula di conservare l’insolita frequenza e l’altrettanto inusuale puntualità delle uscite, per non interrompere il filo del discorso e non deludere le attese, non sono sempre riuscito a tenere insieme la comunità di studiosi giovani e meno giovani con la quale mi ero potuto illudere di aver stabilito un rapporto organico e fattivo. Sarebbe però sciocco, e ingeneroso nei confronti di chi è venuto in mio soccorso ridurre a tali ragioni il cambiamento della periodicità. Non si poteva che prendere atto delle conseguenze dei cambiamenti registrati con il passaggio dal regime monocratico, e, ne convengo, autocratico, di prima alla più articolata organizzazione attuale, che prevede un Comitato di direzione, un Comitato scientifico e un Comitato editoriale, nonché una Redazione più allargata, e attribuisce un diverso ruolo ai Referenti scientifici.

Tali trasformazioni ci hanno messo di fronte a nuovi problemi gestionali, cioè spazio-temporali (il numero dei passaggi, la distanza tra le persone, la collegialità e la minore velocità delle decisioni), prima pressoché sconosciuti, così come una organizzazione più complessa dei contenuti ha richiesto il nuovo sito, la cui ristrutturazione comportava anche un incremento dei pur modesti costi della rivista (come avete potuto vedere, altre istituzioni sono intervenute a sostenere le innovazioni digitali). Al contempo, nuovi collaboratori e nuove collaboratrici sono stati inseriti, nuove rubriche sono state aggiunte e, per il poco che conta, mi è consentito di scrivere di più e con maggior agio. L’offerta della rivista adesso è perciò più ricca e articolata, come mostra anche l’indice di questo numero, con i consueti saggi affiancati da due rubriche: a fuoco, curata da Giacomo Raccis, dedicata al racconto della scuola, un genere fortemente appropriato all’uso didattico e a un’istituzione, la scuola, che rimane il beneficiario principe dei nostri studi; voci, in cui abbiamo scelto di saggiare un termine polivalente della contemporaneità, come ‘margine’.

Se come credo il gettito complessivo di articoli e soprattutto recensioni continuerà ad aumentare (con questo numero tocchiamo quota quaranta), la differenza del semestrale consisterà in un ritmo di lavorazione meno sostenuto e più consono alle trasformazioni del quadro specifico nel quale operiamo e della situazione in cui versano i nostri studi e la stessa produzione letteraria. Tanto per dirne una, mi permetto di ricordare ai lettori più affezionati (sui quali tornerò subito dopo) che lo spazio dell’editoriale è stato dedicato per quasi un intero decennio a una specie di contrappunto critico, in chiave personale e militante, degli orientamenti che mi sembrava emergessero dalla pur languente discussione sui temi di nostro interesse, con una prevalenza iniziale dei problemi della valutazione scientifica in ambito umanistico e la successiva indicazione di questioni cruciali, ma per lo più trascurate (dalle recensioni, sempre difese, alla finzione, quasi demonizzata altrove, alla centralità della critica, alla problematica durata degli studi letterari, al ruolo dei maestri, agli amici scomparsi, fino addirittura al nostro acronimo, che non avrebbe meritato tanto zelo, se non fosse stato spesso ma non inaspettatamente frainteso).

Quanto ai lettori, non è una scoperta, ma continua ad avere un effetto deprimente, che su di loro prevalgano i non lettori, che non si riducono a chi fa un altro mestiere e ha altri interessi, né alla sottostimata categoria degli analfabeti di ritorno, ma comprendono con la percentuale crescente (in assenza di statistiche valga l’esperienza empirica di ciascuno) di coloro che hanno gli strumenti e dovrebbero avere un motivo per leggere. Potrei generalizzare, accostando i non lettori agli studenti che non studiano o ai lavoratori che non lavorano e invocando magari il consumismo voyeuristico e le paradossali estensioni attivistiche che trasformano la società dello spettacolo in un frenetico alveare di lettori con il pensiero. Più che fantasticare di telepatia, mi pare utile testimoniare quello che ho constatato, e che molti di noi quotidianamente constatano, nell’ampio bacino degli studi letterari: svalutazione e abbandono delle recensioni; riferimenti approssimativi e citazioni talora evidentemente casuali di libri e articoli; conformismo nella scelta di autori, temi, pezze d’appoggio (spesso di seconda mano); disinformazione sullo stato dei lavori anche relativi a autori e temi di propria stretta competenza; preferenza accordata alla compilazione meccanica e ai generi che sembrano poterla tollerare. D’altronde, perché distrarsi con letture faticose, quando il passaparola orienta contemporaneamente sui suoi oggetti e sulla loro assimilabilità e si avvale del circuito e degli automatismi innescati dall’informazione in tutti i sensi critica del pettegolezzo?

Non mi scandalizzerei se persino di «Oblio» qualcuno in questo spirito avesse approfittato come di una scorciatoia, un altro modo di leggere per non leggere, come in Pirandello ci si sposa per non doversi sposare. Pressappochismo e semplificazione sono forse prezzi da pagare, astratta eventualità o prassi, a una attività che continua a contrarre vizi e virtù da una imprescindibile tradizione. In attesa però di riparlarne riposatamente, mi accontento di chiedere senso della misura e rispetto dei patti, sapendo bene che poco contano quelli che impone la rivista (e che tuttavia mi impegno a tutelare) e degli altri ciascuno risponderà a se stesso.

Ho un vivido ricordo e qualche nostalgia di quando la critica letteraria per qualcuno era diventata addirittura la lettura preferita e mostrare di conoscerla era la condizione necessaria per prendere la parola. Anche allora c’era chi si limitava a sfoggiare titoli freschi di stampa, nomi di studiosi di ogni parte del mondo, riviste pressoché irreperibili (adesso è diventata irreperibile la critica, come gli editori che ancora la pubblicano). Quei tempi non torneranno, non foss’altro perché, per ostentare le proprie credenziali scientifiche con una formalizzazione intraducibile, prepararono la propria giubilazione. Forse però una nuova mentalità, ancora solo annunciata tra mille contraddizioni, qualcuna anche esplosiva, ci lascia sperare. Chissà se, smaltita la sbornia consumistica del web e constatata l’inadeguatezza dei risultati, anche l’accessibilità non possa diventare un incentivo alla lettura, invece di sostituirla. Che a video si possa leggere con uguale profitto, dovremmo averlo capito.                                                                                      Nicola Merola

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